Tenendo in considerazione, come fonti storiche attendibili, i libri di Giovanni Mulè Bertolo (“Memorie del Comune di Villalba”, 1900), di Luigi Lumia (“Villalba. Storia e memoria”, 1990) e l’opuscolo edito dall’Amministrazione comunale di Villalba (“Villalba e Castellana Sicula riscattano due secoli di ingiustizie” 1980), forniremo alcune notizie sommarie intorno all’origine del feudo e del paese, e alla sua storia. Non essendo nelle intenzioni degli scriventi essere esaustivi, lasciamo agli storici che se la sentono di affrontare gli opportuni approfondimenti dei vari argomenti che qui accenneremo soltanto o che, addirittura, capiterà di dover sorvolare.
Grazie al contributo storico del Giovanni Mulè Bertolo ( Libro primo), si individuano diversi periodi di insediamento.
Nel periodo romano, le terre feracissime (insieme a quelle circostanti) della zona Michiken (terra nera in lingua araba)vennero popolate da molte colonie agricole. Una prova di questi insediamenti è il ritrovamento (menzionato dal Mulè Bertolo) all’inizio del secolo XIX,nei pressi della contrada Porco (dove vi è La Rocca della finestra) di “una fornace, che conteneva in buona quantità utensili laterizii come pentole, orciuoli, tondi, vasetti e simili e, intorno al 1850, di “un piccolo mercurio di bronzo con caduceo in mano”, da parte di un contadino di nome Carmelo Cipolla.
Nel periodo arabo, le colonie agricole si ingrandirono e presero il nome di casali. Lo storico siciliano M. Amari (in “Storia dei Musulmani in Sicilia, vol. I ) parla di “un diploma latino pubblicato dal Gregorio – De supputandis apud Arabes sïculos temporibus – contiene le versioni dal greco e dall’arabico di due documenti del 1175, nei quali si legge il nome del casale Michiken”. Ma mentre l’Amari riteneva tale casale fosse sorto nel sito di Alimena, il Giuseppe Gioeni sulla base dell’analisi dei nomi arabici delle terre vicine, Bilici, Realiali e Gurfa, e sul rinvenimento nelle vicinanze dell’abitato di oggetti di metallo, di terracotta, e di fondamenta di case di chiara origine saracena, si convinse che il sito in questione fosse proprio nel territorio del comune di Villalba e nella zona limitrofa.
Nel periodo normanno. (1077 – 1197). Il conte Ruggiero concesse a Lucia Cammarata, sua consanguinea, il vasto contado di Cammarata. Secondo lo storico Gaetano Di Giovanni (vedi in V. Amico Dizionario Topografico della Sicilia. Di Giovanni: La circoscrizione territoriale di Cianciana) il contado di Cammarata si allargava alle Terri degli odierni comuni di Villalba, Vallelunga e Mussomeli. Il contado indi a poco ritornò al demanio.
Nel periodo svevo. (1198 – 1267): il contado di Cammarata fino al 1256 rimase incorporato nel demanio, poi venne concesso da Manfredi a Federico Maletta, con diploma del 1257. Successivamente dubbie notizie fanno ritenere di un’altra investitura del feudo Michiken alla persona del palermitano Riccardo De Milite, e alla morte di questi un ritorno al regio demanio delle terre in questione.
Nel periodo aragonese (1285 – 1410) Costanza, moglie di Federico il Semplice, diede al palermitano Giovanni De Calvello i feudi Duccu e Michiken ( vedi A. Busacca: Storia della legislazione di Sicilia) con diritto alla successione per i figli maschi primogeniti (legge salica).Dal 1371 in poi sembra che il feudo sia ritornato al regio demanio.
Nel periodo castigliano ( 1411 – 1516). Il feudo Michiken rimane incorporato al regio demanio.
Sotto il dominio austriaco. (1516 – 1700). Carlo V di Spagna per sostenere le ingenti spese derivanti dalle guerre sostenute contro Francesco I di Francia, decise di alienare parte dei beni del patrimonio regio. Fra questi vi era la baronia di Villanuova che comprendeva sette feudi fra i quali Miccichè La vendita venne effettuata il 14 marzo 1527 a favore di Cipriano Spinola col mero e misto impero, e con licenza, e facoltà di abitare, popolare in una, o più parti di detta Baronia, o feudi ( vedi F.P. : Risposta del barone di Miccichè alle nuove opposizioni del sig. duca di Pratoameno).La baronia di Villanuova passo, di matrimonio in matrimonio, e di eredi donne a uomini, a diverse casate.
Sotto il dominio Borbonico (1701 – 1860). La figlia primogenita di Bartolomeo Caccamo e di Antonia Branciforti venne investita del principato di Villanuova il 15 gennaio 1738. Il figlio di lei, Domenico Corvino – Caccamo, prese l’investitura del principato il 24 gennaio 1742. E’ proprio questi che nell’anno 1751 vendette il feudo Micciché, oltre a salme 40.1.2 del feudo Casabella, con case e magazzino, a don Giuseppe Maria Ruffino pro persona nominanda, sub verbo regio, con atto del giorno 8 luglio 1751, presso il notaio Francesco Palumbo per la somma di scudi 72.000 pari a lire 367.200, con mero e misto impero e con il titolo di barone. Il compratore era Don Nicolò Palmeri della città di Caltanissetta.
Il Palmeri ebbe l’investitura del feudo il 22 giugno 1752, ma senza l’espressa facoltà di popolare, e di tutte le altre potestà comprese quelle della giurisdizione civile e criminale, di cui godevano i precedessori proprietari del feudo. Da qui gli attacchi del duca Pratoameno di Vallelunga, del casato Papè, che si oppose al volere del barone Nicolò di popolare Micciché.
Il Pratoameno sosteneva che la facoltà di fabbricare e la potestà delle armi e della giurisdizione civile e criminale, a causa del non uso nel corso dei secoli, erano cadute in prescrizione e quindi non erano più valide.
Scrive il Lumia (in Villalba. Storia e memoria, pag.21) “Vera o presunta che fosse tale incompletezza, l’azione dei Pratoameno creano nuove, serie difficoltà alla fabbrica di Miccichè. Era un grosso problema non previsto e del tutto imprevedibile, dato che le carte ufficiali note al momento dell’acquisto del feudo, espressamente prevedevano l’esercizio di tali facoltà e podestà.
La lite fra Palmeri e il Papè si trascinò per lunghi anni, fra intrighi e cavilli, senza mai venire ad una conclusione. A complicare le cose fu la stessa posizione del Papè che era Maestro razionale del Tribunale del Real Patrimonio (sede legale nella quale doveva essere giudicata la questione).
Il perseverante Palmeri, tuttavia, nonostante i guai, non perdendosi d’animo e da bravo imprenditore agricolo continuò il suo progetto di popolamento del feudo acquistato. Al nuovo borgo Nicolò aveva dato il nome di Villalba a ricordo dei suoi antenati e di quelli della moglie, i Sancez, che provenivano, appunto, da un cittadina spagnola della Galizia, con lo stesso toponimo.
Nel 1778 e nel 1781 morivano, rispettivamente don Giacinto Papè e Nicolò Palmeri.
Nel 1785 il nuovo borgo di Villalba già contava circa 800 abitanti. Nel 1798 viene attribuita una popolazione di 1018 abitanti.
Morto don Nicolò, gli successe il figlio Placido che portò a termine la costruzione di Villalba.
Le prime cessioni enfiteutiche ai nuovi abitatori iniziarono nel 1785 (sperimentate per attirare i nuovi coloni). Tali concessioni saranno ridotte verso il 1795 e bloccate completamente verso la fine del secolo.
Nel 1813 gli verrà conferito, da Francesco principe ereditario delle Due Sicilie, durante il regno di Ferdinando III, il desiderato titolo di Marchese.
Scrive sempre il Lumia (pag. 53) “Da donna Rosalia Morillo – figlia del barone di Trabonella, feudatario e ricco proprietario di miniere di zolfo di Caltanissetta – che aveva sposato nel 1776, Placido Palmeri ebbe sette figli: Nicolò, al quale riservò tutte le sue fortune, Ferdinando e Vincenzo, i quali a causa del trattamento paterno, impazzirono, Michele e Rodrigo i quali fuggirono da casa e parteciparono, spesso con ruolo di primo piano, alle più importanti vicende politiche siciliane della prima metà dell’Ottocento, Maria Anna che concluse nubile la sua esistenza sprecata al servizio esclusivo del padre e nella cieca ubbidienza alla sua volontà, Placida, la quale venne chiusa in convento e fatta monaca”.
Nel 1818, con la morte di don Placido Palmeri, prese ufficialmente le redini del feudo il primogenito Nicolò. Villalba contava poco meno di 2000 abitanti.
I fratelli Michele e Rodrigo Palmeri, come già sottolineato dal Lumia, parteciparono attivamente e furono coinvolti in pieno nelle vicende della Sicilia baronale e borbonica, dai primi moti del 1820 (iniziati da operai e artigiani e poi proseguiti ad opera dell’aristocrazia siciliana).
Dopo la bufera napoleonica re Ferdinando di Borbone, IV re di Napoli e III re di Sicilia, ritornato al trono nel 1815, non soltanto abolì immediatamente la Costituzione che nel 1812 aveva concesso alla Sicilia, con il pretesto che non poteva essere re costituzionale a Palermo e monarca assoluto a Napoli, ma con l’atto di unione dell’8 dicembre 1816, unificò i due regni diventando Ferdinando I delle Due Sicilie. Contemporaneamente facendo di Napoli la capitale del Regno, tolse importanza all’aristocrazia siciliana.
Il 14 luglio 1820 scoppiò a Palermo una rivoluzione, che prese quasi subito le fattezze di un movimento antiborbonico e separatista. A questi moti parteciparono i più autorevoli esponenti dell’aristocrazia palermitana e siciliana. La rivoluzione venne soffocata e così fallì il tentativo dei baroni di conquistare con l’indipendenza tutto il potere politico in Sicilia. I fratelli Michele e Rodrigo Palmeri di Villalba, tranne il prudente Nicolò, così come parteciparono ai moti, decisero, poi, di andare in esilio per diversi anni in Europa.
A Nicolò, senza figli, successe il fratello Rodrigo. Questi mantenne la propria residenza a Palermo. Egli fu quasi sempre assente da Villalba e dal feudo che vennero abbandonati nelle mani di procuratori e campieri.
Con la morte di Rodrigo, senza figli anch’esso, e di Michele, si estinse il ramo Palmeri di Villalba. Rodrigo lasciò suo erede universale Salvatore Palmeri Mantegna e l’usufrutto del feudo alla propria moglie (testamento del 28 settembre 1850).
A tal proposito scrive il Mulè Bertolo (pag. 64):” I Palmeri l’ebbero (il feudo Micciché) per anni 141: Nicolò Palmieri Calafato dal 1751 al 1781, Placido Palmieri de Salazar dal 1782 al 1818, Nicolò Palmieri Morillo dal 1819 al 1844, Rodrigo Palmieri Morillo dal 1845 al 1850, Salvatore Palmieri Mantegna dal 1851 al 1889, Rodrigo Palmieri Amato e fratelli e sorelle dal 1890 al 1892″ Scrive sempre il Mulè Bertolo (pag. 22) “Il feudo di Miccichè, che per anni 141, cioè dal giorno 8 luglio 1751 sino al 17 aprile 1892, rimase in potere della famiglia Palmieri, fu venduto alla signora Giulia Florio, principessa di Butera e di Trabia, per la somma di lire due milioni e quarantamila”.
Eventi salienti dal 1860 ad oggi
-
- La venuta di Garibaldi il 7 agosto 1860.
- Il grande sciopero contadino (braccianti, mezzadri) del 1875 in cui, per la prima volta le classi contadine si unirono per rivendicare dal nuovo stato unitario e contro le vecchie forze del feudo, il diritto a migliori condizioni di vita. I contadini chiedevano la concessione della terra in censo perpetuo.
-
- Le rivolte dei contadini nel 1901, 1903, 1907, 1920, 1925. Il popolo villalbese rivendicò l’abolizione dell’esoso terraggio, dei vari balzelli e soprusi a cui erano sottoposti. Si resero, da questo periodo in poi, evidenti i cosiddetti preti sociali, grandi figure formatisi alla scuola di pensiero dell’enciclica Rerum Novarum, e uomini umili e tenaci militanti nella sinistra.
-
- Il “caso” don Calogero Vizzini (personaggio particolare che dominò le scene siciliane e villalbesi dall’inizio del novecento fino agli anni cinquanta)
-
- L’occupazione, da parte di contadini, di alcune terre villalbesi di proprietà dei fratelli Mistretta in contrada Mattarello nei giorni 19 e 20 novembre 1949, e di proprietà di Guccione Vincenzo nei giorni 23 e 24 novembre 1949.
-
- La divisione del feudo in appezzamenti distribuiti a parecchie (ma non a tutte) famiglie del luogo grazie all’intervento di alcune figure operanti sulla scena politica villalbese di allora.
-
- La modifica territoriale dei territori di Castellana Sicula e di Villalba nel 1978-79. I due comuni, retti all’epoca da giunte di sinistra, si accordarono, con delibera consiliare n. 140 del 28 – 12 – 1978 di Castellana Sicula e n. 7 del 10 – 01 – 1979 di Villalba, a ridefinire i confini territoriali. Castellana Sicula cedette ha 2350, a.25, e ca 93 del proprio territorio comunale al comune di Villalba che accettava, stante che detta area ricadeva nelle sue vicinanze ed era coltivata da cittadini villalbesi (contrade Belici, cento Salme, Mattarello, Chiapparìa).
- Dalla metà degli anni cinquanta in poi, la crisi agricola aprì le porte all’emigrazione verso il nord Italia, i paesi europei ed extraeuropei.. Vi furono anni in cui i campi rimasero incolti per mancanza di manodopera. La situazione andò, da allora, sempre più a peggiorare: la conseguenza più evidente fu il decremento della popolazione residente. Attualmente la contrazione di posti di lavoro, la disoccupazione giovanile, la mancanza di iniziative imprenditoriali, hanno avuto come effetto non soltanto quello di provocare un rilevante senso di disagio e disorientamento, e di incoraggiare i tentativi di ricerca di posti di lavoro al di fuori della propria terra, ma anche di creare un clima paesano abulico e disfattista che tenta di soffocare anche i più intraprendenti. Solo alcuni intraprendenti e coraggiosi imprenditori sono riusciti a dare un piccolo impulso all’economia villalbese con piccole e medie attività di cui le più importanti sono quelle agricole e artigiane.
Pagina aggiornata il 13/02/2023